Con la scomparsa di Riccardo Cassin il mondo perde un’importante testimonianza
dei valori che sono alla base dell’uomo e dell’alpinista.
Questa notte nella sua casa a Pian dei Resinelli, Riccardo Cassin all’età di 100 anni ha raggiunto la sua cima più alta. La scomparsa del grande alpinista e maestro di vita lascia nel cuore degli appassionati di montagna e di alpinismo un vuoto incolmabile.
Il “grande vecchio” dell’alpinismo mondiale, la leggenda delle Grigne, della Cima Ovest di Lavaredo, del Badile, delle Grandes Jorasses, del Gasherbrum IV e del McKinley, è scomparso ieri, 6 agosto 2009 – a 71 anni dall’impresa sullo Sperone Walker e a 51 dalla prima salita del Gasherbrum IV –, nella sua casa al Pian dei Resinelli al cospetto della Grignetta. Aveva compiuto 100 anni il 2 gennaio scorso. I funerali si terranno domani pomeriggio nella chiesa parrocchiale di Maggianico, il rione di Lecco dove Riccardo viveva.
“Il suo messaggio” – queste le parole del Presidente Generale del CAI Annibale Salsa – “era un messaggio di umanità prima ancora che di eccellenza tecnica. Era esattamente ciò di cui ha bisogno l’ambiente alpinistico, soprattutto giovanile: ricordare che i valori umani superano e fondano quelli tecnici. Riccardo ripeteva spesso che la montagna è un grande valore educativo di per sé, a qualunque livello, e la sua vita ne è stata la più piena testimonianza.”
Il Club Alpino Italiano si stringe in un grande abbraccio attorno alla famiglia Cassin colpita da questa grande perdita.
In continuità con i valori di Riccardo, i famigliari chiedono a quanti hanno voluto bene al grande alpinista di
rendergli omaggio attraverso un gesto di solidarietà e indicano la Onlus Istituti Riuniti Airoldi e Muzzi di Lecco come destinataria di questa volontà (IBAN: IT 32X0521622300000000035505).
ELOGIO DEL PENSIERO CONCRETO
Un uomo di poche parole, che ti guardava e rideva, sornione e divertito. Una risata appena accennata, quasi diabolica, dietro cui stavano una vita e uno stile: davanti alle difficoltà, Riccardo Cassin non si è mai tirato indietro. Niente chiacchiere accademiche: il pensiero, per lui, è sempre stato in funzione dell’azione. Forse il massimo, per un alpinista. Riccardo puntava una montagna e la saliva, come una macchina da arrampicata. L’età avanzata l’aveva reso taciturno? No: era sempre stato così. Nel 1934, dopo aver ripetuto la Comici sulla parete nord della Cima Grande di Lavaredo, fece scrivere al cronista che pretendeva di intervistarlo che la penna, con lui, era superflua. Sarebbe stato meglio un… cavaturaccioli! Lo stesso cronista, però, in tre righe riuscì a fornirne un ritratto perfetto: «Atleta completo sotto ogni aspetto – fisicamente forte, agile, prudente e calmo, sia nei passi estremamente difficili che in quelli trascurabili – sembra estraneo a tutto ciò che si riferisce alle sue doti eccezionali e alle sue brillanti imprese. Cassin sembra quasi trascurato di se stesso e questa trascuratezza rasenta talora l’ingenuità».
Sulle Grigne, prima dell’arrivo di Emilio Comici grazie a Mary Varale, Riccardo ne aveva già combinate di tutti i colori. Ma fu l’asso triestino ad urlargli, come ad un corridore ciclista: «Vai, Cassin, che sei solo!». Lui si alzò sui pedali e non si fermò più. «Poter vedere arrampicare Comici, ascoltarne i consigli, penetrarne la mentalità fu per noi fortuna rara – scrisse Cassin –. Lo considerammo maestro; molto alla mano e sempre cordiale, Comici fece sì che i rapporti fossero improntati a schietto cameratismo. La progressione artificiale, che per noi della Grigna era un semplice “sentito dire”, già costituiva per Comici il gioco preferito che gli consentiva un notevole risparmio di energia, permettendogli contemporaneamente di passare là dove sino ad allora era proibito. Fu al Nibbio che per la prima volta si introdusse in Grigna la doppia corda con la salita a forbice e l’uso delle staffe».
Nel 1934, oltre alla parete nord della Cima Grande di Lavaredo, Cassin salì in prima ascensione la parete sud-est della Cima Piccolissima. Seguirono, nel 1935, la prima ripetizione della Comici sulla leggendaria Nord-ovest del Civetta, il capolavoro sullo spigolo sud-est della Torre Trieste e la soluzione del gran problema: gli strapiombi della parete nord della Cima Ovest di Lavaredo, tentati in precedenza ben 27 volte. Cassin e Vittorio Ratti passarono al primo colpo, risolvendo quella famosa traversata che era come il Rubicone: una volta dall’altra parte bisognava andare fino in fondo. L’essenza del personaggio era già chiara: «Dove attacca, Cassin lascia il segno – dicevano quelli che stavano a guardare –. Affrontare l’impossibile con decisione, senza tentennamenti o ritorni è nel suo stile». Nel 1937 fu la volta della Nord-est del Pizzo Badile e nel 1938, tra il 4 e il 6 agosto, ecco il capolavoro, per molti un punto di svolta nella storia e nell’evoluzione dell’alpinismo: la prima salita dello Sperone Walker della parete nord delle Grandes Jorasses, nel massiccio del Monte Bianco. In quei tre giorni Cassin, Ugo Tizzoni e Luigi “Gino” Esposito raggiunsero il vertice della parabola, polverizzando i timori di coloro che più volte avevano – o avrebbero voluto – tentare la via ma che non ebbero mai il coraggio di intraprendere un’azione decisa. Cassin, grazie anche a quei meravigliosi chiodi che produceva da sé, ebbe la meglio sulle placche ghiacciate, procedendo sulla leggendaria parete con la precisione e la regolarità di un orologio svizzero. Impossibile fermare quella macchina, quella cordata perfetta esplosa dalla Lecco operaia.
Nel 1954 Cassin fu clamorosamente escluso dalla spedizione nazionale al K2 ma il 6 agosto 1958, esattamente vent’anni dopo il suo successo sulla Walker, ebbe la propria “rivincita” grazie a Carlo Mauri e a Walter Bonatti, cordata di punta della vittoriosa spedizione al Gasherbrum IV della quale egli era il capo (che non amava stare al campo base…). Del 1961 è l’impresa sulla parete sud del McKinley – un successo corale con tutti i membri della spedizione in vetta – mentre risale al 1975, dopo la bella vittoria sull’Jirishanca, nel 1969, l’unica bruciante rinuncia nella carriera del mai domo Riccardo. Fu la parete sud del Lhotse, che sarebbe stata salita soltanto nel 1990, a cacciare malamente la poderosa squadra di cui facevano parte, tra gli altri, Reinhold Messner, Alessandro Gogna, Ignazio Piussi, Giuseppe “Det” Alippi e Mario Curnis.
Raccontare di Cassin porta alle scalate, alle azioni: il loro protagonista diceva che ognuna di esse, nella sua memoria, occupava un posto speciale e bisognava credergli. Il grande vecchio, che nell’immaginario collettivo incarnava l’alpinismo eroico di un tempo fatto di chiodi artigianali, staffe e corde di canapa, osservava sereno la trottola del mondo: ha sempre sorriso alle nuove generazioni, apprezzando sinceramente e sostenendo coloro in cui vedeva capacità autentiche. Non era nel suo carattere perdersi in considerazioni astratte: la sua semplicità e, soprattutto, l’estrema aderenza alla realtà che ha sempre caratterizzato il suo modo di agire, lo hanno portato a valutare senza distrazioni i fenomeni e i problemi. Il suo pensare – anche se come riporta Gian Piero Motti, raffinato interprete del divenire alpinistico, qualcuno osò affermare che Cassin “non pensava” – era teso alla ricerca della soluzione più logica, senza tanti fronzoli. Altri, più di Cassin, seppero individuare salite originali, dimostrando una creatività che forse in Riccardo non trovava troppo spazio, ma il virtuoso di Lecco era il mago assoluto del palcoscenico. Quando si piazzava lassù, sulla parete di cui tutti parlavano, non si emozionava affatto e sapeva dare il meglio di sé: era capace di strappare applausi per le sue interpretazioni ideali di opere ritenute ineseguibili. Per Cassin, come per molti dei suoi compagni cresciuti nella Lecco operaia e sulle Grigne, la montagna era qualcosa di definito, assai solido, dove le mani erano chiamate a cercare buoni appigli e gli occhi a scrutare la roccia per trovare le fessure dove piantare i chiodi. Non rappresentava nulla di simbolico e tra le altre cose riusciva ad essere, come il nostro amava spesso ripetere, una severa maestra di vita. «Per andare in montagna – disse un giorno – occorre passione, una grande passione, perché lì sono fatica e sacrificio. Ma le cime regalano anche soddisfazioni… A chi mi chiede dove stia andando l’alpinismo rispondo semplicemente: in montagna. È questo quello che conta. Tutto il resto è un di più».
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UNA VITA IN VETTA
1909. Alle otto di sera del 2 gennaio, a Savorgnano di San Vito al Tagliamento (Pordenone), nasce Riccardo Cassin, primogenito di Valentino e di Emilia Battiston.
1926. Riccardo si trasferisce a Lecco, dove per quasi due anni lavora come muratore. Con Emilio Possenti, il suo datore di lavoro, sale per la prima volta in cima al Resegone. Si iscrive, come pugile, al circolo sportivo “Nuova Italia”: combatterà fino al 1929, sostenendo circa 50 incontri di cui due terzi vinti.
1929. In primavera compie la sua prima arrampicata. Con alcuni amici tra cui Mario Dell’Oro, detto Boga, Mario Villa e Giuseppe Comi sale la Guglia Angelina (esattamente al centro nella foto a lato), una delle tante torri della Grignetta.
1930. In autunno, con Carlo Corti, tenta la parete sud della Corna di Medale, la grande parete che domina la città di Lecco.
1931. All’inizio di luglio, in cordata con Mary Varale, sale la parete est della Guglia Angelina (Grignetta). La via, battezzata Mary, è lunga circa 140 metri e presenta difficoltà di V+ e A0. Il 26 dello stesso mese, con Giovanni Riva, traccia una via breve ma assai sostenuta sullo spigolo settentrionale del Sigaro Dones (siamo sempre in Grignetta). La salita, dedicata al padre Valentino, in 90 metri oppone difficoltà di VI e A1. Il 12 agosto, con Mario Dell’Oro (a comando alternato), supera l’inviolata parete sud della Corna di Medale (360 m, V e A0). Il 20 settembre torna in Grignetta e, con Riccardo Redaelli, sale la parete sud-ovest del Torrione Palma (220 m, V+).
1932. Apre tre vie nuove sulle grandi pareti della Grigna Settentrionale. Il 3 luglio è sulla nord-est del Pizzo della Pieve, di cui sale il settore sinistro (630 m, VI) con Mario Dell’Oro e Giuseppe Comi. Pochi giorni dopo, il 24 luglio, ancora con Dell’Oro (a comando alternato) sale la sud del Sasso dei Carbonari (550 m, V+). Infine il 4 settembre, con Comi, fa suo il gran camino della ovest del Pizzo d’Eghen (500 m, V+ e A1). Il 28 ottobre, con Dell’Oro e Mary Varale, scala la ovest della Guglia Angelina (80 m, V).
1933. Il 28 maggio, con Mario Dell’Oro, Mary Varale, Mario Spreafico e, soprattutto, Emilio Comici, sale la parete ovest dello Zuccone di Campelli (Valsassina). Il 4 giugno, con Antonio Piloni e Augusto Corti, apre una via, in seguito assai frequentata, sul Corno del Nibbio Settentrionale, ai piedi della Grignetta. Il 2 luglio, con lo stesso Piloni e Domenico Lazzeri, supera i 200 metri (V+ e A1) dell’impressionante parete sud della Torre Costanza (Grignetta, nella foto a lato). Primo incontro con le Dolomiti: in cordata con Piloni, probabilmente il 16 agosto, compie la prima ripetizione della Comici sulla parete ovest della Torre del Diavolo (Cadini di Misurina). Il 27 agosto, con Augusto Corti, apre una via (450 m, VI- e A2) sulla sud del Sasso Cavallo (Grigna Settentrionale) e il 15 ottobre torna sulla Torre Costanza, dove risolve i 170 metri (V+ e A1) della Via del Littorio sulla parete est (con Mario Dell’Oro e Mary Varale).
1934. Torre Cecilia (Grignetta): il 20 maggio, con Luigi Pozzi, apre in tre ore una via di circa 100 metri (V) sulla parete ovest. La domenica seguente, 27 maggio, è sul Corno del Nibbio Settentrionale dove, con Vittorio Panzeri e Mario Dell’Oro, traccia la difficile Campione d’Italia. Il 1° luglio torna sulla nord-est del Pizzo della Pieve: con Augusto Corti apre una via (800 m, V) nel centro della parete, dedicandola a Cesare Battisti. Una settimana dopo, l’8 luglio, è sul Cimone della Bagozza (nelle Orobie tra la valle di Scalve e la val Camonica): con Aldo Frattini e Rodolfo Varallo supera in prima ascensione, in 15 ore, i 400 metri (V e VI) dello spigolo nord. Seconda trasferta dolomitica: il 15 agosto, con Gigi Vitali e Luigi Pozzi, sale in prima ripetizione la via aperta il giorno precedente da Vittorio Panzeri, Mario Dell’Oro e Giudici sul versante di Misurina del Popena Basso (gruppo del Cristallo); il 17 agosto, con gli stessi compagni, apre una via (200 m, VI) sulla parete sud-est della Cima Piccolissima di Lavaredo (la via era stata tentata il 16, lasciando una corda fissa); il 18 agosto, con Vitali, compie in 8 ore la terza ripetizione dello Spigolo Giallo della Cima Piccola; il 20 e 21 agosto, con Dell’Oro e Vitali, mette a segno la decima ripetizione della Comici sulla nord della Cima Grande.
1935. Tra l’11 e il 12 agosto, in cordata con Mario Dell’Oro, realizza la seconda ripetizione (con variante finale) della Comici sulla nord-ovest della Civetta. Pochi giorni dopo, dal 15 al 17 agosto, con Vittorio Ratti sale in prima assoluta lo spigolo sud-est della Torre Trieste (sempre nel gruppo della Civetta). La via, che supera un dislivello di circa 600 metri, presenta difficoltà di VI+ e A1. Dal 28 al 30 agosto, ancora con Ratti, realizza un’impresa storica risolvendo il problema della parete nord della Cima Ovest di Lavaredo (550 m, VI+ e A1, a destra nella foto a lato).
1937. Dal 14 al 16 luglio, con i lecchesi Vittorio Ratti e Luigi (Gino) Esposito e i comaschi Mario Molteni e Giuseppe Valsecchi, sale in prima assoluta la levigata parete nord-est (900 m, V+ e A1) del Pizzo Badile, montagna simbolo dello splendido cuore granitico delle Alpi Centrali: il gruppo del Masino-Bregaglia. Si tratta di un’altra storica impresa, realizzata lottando con il maltempo e costata la vita ai comaschi, morti per sfinimento durante la discesa lungo la via normale. Nella foto a lato, scattata pochi giorni fa: la parete nord-est del Pizzo Badile, che tocca quota 3308 metri, illuminata dal sole del mattino dopo una nevicata estiva. A destra del netto ed elegante spigolo nord si nota invece la cupa parete nord-ovest.
1938. Dal 4 al 6 agosto, pochi giorni dopo il successo di Anderl Heckmair e compagni sulla nord dell’Eiger, con Luigi (Gino) Esposito e Ugo Tizzoni risolve il gran problema dello Sperone Walker (1200 m, VI e A1) della parete nord delle Grandes Jorasses (Monte Bianco, foto a lato).
1939. Il 9 luglio, con Pierino Cattaneo, traccia in 11 ore, impiegando 18 chiodi, una via di 800 metri (V) sullo spigolo est dei Gölem (Concarena, Orobie). Tra il 14 e il 15 agosto sale la nord-est dell’Aiguille de Leschaux (Monte Bianco). Con lui, sulla parete alta circa 750 metri (V+ e A1), il fidato Ugo Tizzoni.
1940. In maggio si sposa con Irma Ceroni: dal matrimonio nasceranno tre figli (Valentino, Pierantonio e Guido). In agosto (forse il giorno 10), con Rodolfo Varallo, sale la cresta sud dell’Aiguille Noire de Peutérey (Monte Bianco, probabile ventesima ripetizione). Pochi giorni dopo, il 13 agosto, con Aldo Frattini e Molinato sale in vetta al Monte Bianco per la Cresta dell’Innominata.
1947. L’8 agosto, in cordata con Felice Butti, apre con 25 chiodi una via di V e VI grado sulla parete nord-ovest della Prima Sorella del Sorapiss. Il 10 agosto, con Carlo Mauri, sale in prima ascensione lo spigolo sud-est della Torre del Diavolo (Cadini di Misurina). La via, dedicata a Paolo Odobez (alpinista lecchese caduto in Russia), presenta difficoltà di V e VI.
1950. Il 9 luglio, con Felice Aldeghi, Carlo Mauri e Arnaldo Tizzoni, sale in terza (e non seconda, come riportato su alcune pubblicazioni) ripetizione la Gaiser-Lehmann sul pilastro nord-ovest del Cengalo (Masino-Bregaglia). Il 17 luglio, con Carlo Mauri, sale sempre in terza ripetizione anche la Ratti-Vitali sulla parete ovest dell’Aiguille Noire de Peutérey.
1952. Il 20 luglio sale con Felice Aldeghi lo spigolo nord-ovest (Ferro da Stiro) dei Pizzi Gemelli (Masino-Bregaglia).
1953. Dal 18 agosto al 17 ottobre compie con Ardito Desio una ricognizione al K2 in vista della spedizione dell’anno seguente.
1955. A fine giugno sale con Dino Piazza la Boga lungo lo spigolo sud-est (Spigolo Parravicini) del Torrione Est del Monte di Zocca (Masino-Bregaglia). Durante il mese di luglio, con Mario Colombo detto Snapitus, compie la traversata integrale della Costiera di Sciora (Masino-Bregaglia). Negli stessi giorni, in cordata con Roberto Osio, ripete anche la celebre parete nord del Pizzo Roseg, nel gruppo del Bernina.
1956. Con Roberto Osio ripete per la prima volta la sua via sulla parete nord-est del Pizzo Badile.
1957. Con Arnaldo Tizzoni, Carlo Mauri e Oddone Rossetti sale la parete nord del Disgrazia.
1958. Spedizione al Gasherbrum IV (al centro nella foto a lato, scattata nel 2002 da Dario Spreafico), in Karakorum. Cassin guida la squadra composta da Walter Bonatti, Bepi de Francesch, Toni Gobbi, Fosco Maraini, Carlo Mauri, Giuseppe Oberto e Donato Zeni (medico). Il 6 agosto la vetta è raggiunta: la prima ascensione assoluta del Gasherbrum IV, per la seraccata sud-est e la cresta nord-est, porta le firme di Bonatti e Mauri. Il giorno precedente, dal campo IV (6900 m), Cassin aveva tentato in solitudine la prima salita del Gasherbrum III (per la cresta nord) spingendosi fino a quota 7350.
1959. In agosto, con Casimiro Ferrari, Antonio Invernizzi e Giulio Milani, ripete la Vinci sulla nord del Ligoncio (Masino-Bregaglia).
1961. Spedizione al McKinley, in Alaska. Cassin guida la squadra lecchese composta la Luigi Airoldi, Gigi Alippi, Jack Canali, Romano Perego e Annibale Zucchi. Il successo è grandioso, con tutti gli alpinisti in vetta – il 19 luglio – dopo aver salito in prima ascensione il difficile sperone centrale della parete sud della montagna (nella foto a lato).
1962. In agosto, con Felice Anghileri, ripete per la prima volta la sua via sulla parete nord della Cima Ovest di Lavaredo.
1966. In agosto partecipa ad una spedizione nel Caucaso: con lui ci sono Annibale Zucchi, Paolo Consiglio, Emilio Frisia e Franco Alletto. Ha così la possibilità di salire il Monte Elbrus e il più difficile Ushba.
1969. Spedizione al Nevado Jirishanca, nelle Ande Peruviane (Cordillera Huayhuash). Cassin guida la squadra lecchese composta Natale Airoldi, Gigi Alippi, Casimiro Ferrari, Giuseppe Lafranconi, Mimmo Lanzetta, Sandro Liati e Annibale Zucchi. Il gruppo compie la prima ascensione della ghiacciata parete ovest, alta circa 900 metri: in vetta, il 6 luglio, giungono tutti gli alpinisti escluso Lanzetta.
1971. Con il figlio Pierantonio, Pino Negri e Mario Conti (Zenin) ripete per la seconda volta la sua via sulla parete nord-est del Pizzo Badile.
1972. Con Aldo Anghileri, Piero Ravà e Giovanni Favetti ripete per la seconda volta la sua via sulla parete nord della Cima Ovest di Lavaredo.
1975. Spedizione nazionale alla parete sud del Lhotse (Himalaya). Cassin guida la numerosa squadra composta da Gigi Alippi, Giuseppe Alippi (Det), Aldo Anghileri, Giovanni Arcari, Sereno Barbacetto, Franco Chierego, Mario Conti (Zenin), Mario Curnis, Alessandro Gogna, Franco Gugiatti, Aldo Leviti, Fausto Lorenzi, Reinhold Messner e Ignazio Piussi. La spedizione, osteggiata dal maltempo e dalle valanghe, raggiunge quota 7500.
1986. Durante l’estate, a 77 anni, Riccardo si cimenta con una delle perle della Val di Mello: Luna nascente. Con lui Mario Conti e Norberto Riva.
1987. Tra luglio e agosto, nel giro di pochi giorni, in occasione del cinquantesimo anniversario della prima salita, ripete due volte la sua via sulla parete nord-est del Pizzo Badile: la prima volta con Daniele Bianchi, Floriano Castelnuovo, Mario Conti e Danilo Valsecchi, la seconda con il solo Floriano Castelnuovo.
2008. Gli viene assegnato il premio Pelmo d’Oro, prestigioso riconoscimento istituito dalla Provincia di Belluno.
2009. 2 gennaio: compie 100 anni. 6 agosto: a 71 anni dal successo sulla Walker (6 agosto 1938) e a 51 dalla prima salita del Gasherbrum IV (6 agosto 1958) muore nella sua casa al Pian dei Resinelli, ai piedi della Grigna Meridionale, dove era solito passare l’estate.
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HANNO DETTO DI LUI
MAURIZIO “MANOLO” ZANOLLA. «Riccardo Cassin: sembra proprio di ferro… Per me Cassin è stato prima di tutto proprio un chiodo di ferro perché, nella mia ignoranza alpinistica, non sapevo chi fosse quel tale che firmava chiodi a paletta, a foglia, a lancia… Alcuni erano color ferro chiaro, altri gialli. La maggior parte, però, era color ruggine: chiodi sparsi e contorti nelle fessure dolomitiche, da cui li toglievo per raddrizzarli e usarli di nuovo. Ho incontrato Riccardo molte volte: è sempre stato piacevole parlare con lui, era come avere a che fare con un mondo lontano. Alla fine, Cassin, per me non è stato soltanto un chiodo ma anche un grande maestro».
ERMANNO SALVATERRA. «Riccardo il Grande: basterebbe questo per definire Cassin… Sarebbe stato bello essere legato all’altro capo della sua corda! Una volta, però, in parete insieme ci siamo stati: sulla Nord-est del Badile, lungo la sua via. Riccardo aveva 78 anni. Ma avete idea di cosa significa, a quell’età, affrontare una parete così? Davanti a me stava un omino forzuto, che saliva accarezzando la “sua” roccia. Aveva uno zainetto grigio e rosso: gli ho chiesto di darmelo e lui, quasi offeso, mi ha risposto che lo doveva portare lui. L’ho superato e dopo una decina di metri mi sono voltato per salutarlo. Riccardo, con una mano alzata, è riuscito a dirmi un sacco di cose senza pronunciare una sola parola».
MAURIZIO GIAROLLI. «Riccardo Cassin… e vedo tre alpinisti, dai visi stanchi e tirati dopo un’impresa: la prima salita della Nord-est del Badile. Ho avuto la fortuna di incontrare Riccardo una sera di alcuni anni fa, al rifugio Sass Furà: il giorno dopo avrebbe ripetuto proprio quella via, cinquant’anni dopo la prima ascensione. Io ero con Ermanno Salvaterra. Riccardo era immerso nei suoi ricordi e osservava il cielo stellato. Ha lasciato il rifugio alle due, in anticipo di quattro ore sulla nostra sveglia. In parete, giovani e veloci, lo abbiamo raggiunto sui tiri centrali. Mentre lo stavamo superando, però, ci ha ripreso scherzosamente: “Ehi, ragazzi! Non si supera sulla via. Se volevate essere primi dovevate alzarvi presto!”. E da quella volta, per ogni salita, cerco di partire prima possibile».
ELIO ORLANDI. «Una mia fantasia… Cassin come un buon, caro, vecchio chiodo. Un chiodo speciale, però, che infisso nella storia dell’alpinismo è un punto di riferimento per tutti. Cassin: un uomo forgiato e temprato dalle fatiche; un alpinista grande, tra i pochi ad avere capito che la notorietà non conferisce privilegi ma impone responsabilità. Le sue mani hanno fatto parlare le montagne, hanno reso speciale un uomo semplice».
FAUSTO DE STEFANI. «Riccardo Cassin: un artista che ha scelto di emozionarci con l’alpinismo, un uomo che ha vissuto il suo tempo con un’intensità straordinaria e che sulle montagne ha lasciato impronte che rimarranno per sempre. Come un musicista d’eccezione ha saputo comporre opere uniche. Ho un ricordo stupendo della salita dello Sperone Walker delle Grandes Jorasses: una scalata piena di poesia, una teoria di note da seguire su un pentagramma verticale. Un consiglio ai giovani: se volete assaporare fino in fondo la soddisfazione di una salita in piena armonia con la montagna, ripercorrete le sue vie. La tensione vi accompagnerà fino in vetta e sarete felici non soltanto per la cima raggiunta ma anche per l’intero percorso appena terminato».
GIUSEPPE “POPI” MIOTTI. «Le sue imprese ne hanno fatto un mito. Ma di Riccardo vorrei ricordare soprattutto la grande disponibilità e modestia. Cassin, per me, è stato prima un montanaro e poi un alpinista. Astuzia, istinto per le scelte più semplici, decisione, capacità di soffrire, giovialità e tanta umanità: ecco Riccardo. Ma anche una visione della montagna e dei suoi problemi molto pragmatica: tutti elementi nel Dna di chi, sull’Alpe, ci deve vivere e non solo scalare. Tutte doti che, unite all’intelligenza e alla curiosità, hanno fatto di Cassin una delle figure più amate e simpatiche della storia dell’alpinismo».
VERA CENINI LUSARDI. «L’ho visto per la prima volta nel 1937, nella chiesina dei Bagni di Masino. Stava salutando, in raccolto silenzio, le salme di Molteni e Valsecchi dopo la grande ma dolorosa vittoria sulla nord-est del Badile. Ho avuto poi varie occasioni di seguire e ammirare le sue salite. I miei ricordi di Riccardo sono legati anche alla posa del bivacco “Alfredo Redaelli” in cima al Badile, alle uscite di caccia con mio figlio, alle feste delle guide, alla partenza della spedizione all’Jirishanca quando gli consegnai un gagliardetto da portare in vetta, al suo ritorno ai Bagni dopo la ripetizione nel 1987 della via sulla nord-est. Lo considero il mio maestro di vita: per la sua sensibilità, il suo senso pratico, la chiarezza di vedute, l’umiltà verso le montagne, la disponibilità nei confronti dei giovani. È stato un grande alpinista e, soprattutto, un grande uomo».
ALBERTO PALEARI. «Riccardo Cassin è stato l’equivalente alpinistico di Giulio Cesare: “Veni, vidi, vici”. Uno dei più forti alpinisti del Novecento, che ha lottato con la stessa forza e lo stesso coraggio in montagna e nella vita. Ho ammirato in lui la meravigliosa ed indomabile vitalità: aveva almeno ottant’anni quando l’ho incontrato durante un’uscita scialpinistica».
PATRICK GABARROU. «Cassin è stato prima di tutto una storia assolutamente incredibile. Quella di un extraterrestre che, un giorno, è atterrato nella grande sala da gioco dove tutti si conoscevano di persona o di fama e che, senza avvertire, ha vinto la “superpuntata”. Più di un’impresa difficile, impressionante, impegnativa che gli ha dato diritto all’ammissione nel circolo ristretto degli “specialisti”. Semplicemente la via più bella, la più desiderata, la più straordinariamente evidente. In una parola “la via” del massiccio del Monte Bianco: il capolavoro, la Walker. E basta. Ma Cassin, questa forza della natura, per me è stato anche altro… un sorriso semplice, buono e vero».
STEPHEN VENABLES. «Cassin ha incarnato l’audacia e la fantasia di un’età dell’oro che non c’è più. Ho salito una soltanto delle sue grandi vie: la nord-est del Badile. È stato eccitante ripercorrere i suoi passi su quella grande lastra di granito. Ho ammirato il suo coraggio e quello dei suoi compagni, la loro impresa on sight sullo Sperone Walker. E ricordo la spedizione al Gasherbrum IV, con il successo di Bonatti e Mauri su una delle più difficile montagne che siano mai state scalate».
PAVLE KOZJEK (scomparso nel 2008 sulla Muztagh Tower). «Cassin: prima che cominciassi ad arrampicare ne avevo sentito parlare come di uno dei più grandi alpinisti di ogni tempo. Mi sono poi entusiasmato leggendo delle sue imprese. E nel 1983 ho salito la sua via sulla Torre Trieste, restando meravigliato per la bellezza e l’impegno di quella linea, risolta nel lontano 1935. Ricordo ancora un difficile traverso, che non sono riuscito a superare in libera nonostante alcuni tentativi. Credo che la vita di Riccardo resterà un esempio: un’esistenza veramente dedicata all’arrampicata. Vivere come lui a tu per tu con le montagne, fino all’età più avanzata: un sogno…».
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PER APPROFONDIMENTI
-Cima Ovest di Lavaredo, parete nord: www.intotherocks.splinder.com/post/12349441
-Pizzo Badile, parete nord-est: www.intotherocks.splinder.com/post/13091484
-Gasherbrum IV: www.intotherocks.splinder.com/post/15343525
-Pizzo della Pieve, parete nord-est: www.intotherocks.splinder.com/post/16196529