Il monte Altissimo fu chiamato così dai marinai perché dalla costa lo si vede svettare verso il cielo in primo piano rispetto a tutti gli altri. Il monte ispirò anche il poeta Gabriele d’Annunzio:
Mutila dea, tronca le braccia e il collo,
la cima dell’Altissimo t’è ligia.
È tua la rupe onde alla notte stigia
discese il bianco aruspice d’Apollo.
La cruda rupe che non dà mai crollo,
o Nike, il tuo ventoso peplo effigia!
La violenza delle tue vestigia
eternalmente anima il sasso brollo.
Quando sul mar di Luni arde la pompa
del vespro e la Ceràgiola è cruenta
sotto il monte maggior che la soggiòga,
sembra che dispetrata a volo irrompa
tu negli ardori e sul mio capo io senta
crosciar la foga dell’immensa foga
Nonostante la sua cima (1589 m.) non sia tra le maggiori, è la montagna apula da cui si gode il più vasto panorama sul mediterraneo, dal promontorio dell’Argentario alla Corsica.
Saremo così fortunati da trovare bel tempo e poterlo ammirare? … sabato pioggia a dirotto, meglio andare a letto presto. Domenica 11 ottobre, sveglia ore 5.30, in realtà non ne ho bisogno infatti alle 5.15 la spengo. Gli occhi sono ancora piccoli di sonno, in pulmann dopo aver salutato tutti gli amici, molti dei quali non rivedevo da tempo, mi addormento proprio bene.
Arrivati a destinazione c’è una sorpresa, infatti oltre ai nostri validi capogita (Grazia e Sonia) ci aspettano Ada Macchiarini e Antonio Lariucci, due veri apui che su queste montagne ci vivono e ne conoscono tutti i segreti..di bellezza, di storia e purtroppo anche di dolore.
La prima tappa è la cava delle Cervaiole, la più grande e antica delle Apuane, da cui si estrae il marmo più pregiato detto “arabescato”. Michelangelo Buonarroti, tra il 1518 e il 1520, esplorò la zona di Seravezza e le pendici meridionali del Monte Altissimo alla ricerca di giacimenti di marmo destinati alla facciata della Basilica di S. Lorenzo a Firenze su commissione di papa Leone X, figlio di Lorenzo il Magnifico della famiglia de’ Medici.
Fu attivata la cava della Cappella, situata sotto la pieve di San Martino, che produsse marmi che però non vennero usati per la chiesa fiorentina per un ripensamento del papa. Il grande scultore probabilmente intuì le potenzialità della zona, ma la vera escavazione iniziò solo alla fine del XVI secolo e raggiunse livelli importanti di produzione solo con Henraux a partire dal 1800. Quindi è assolutamente falso che Michelangelo abbia ricavato dalle cave del monte Altissimo il marmo per le sue grandi sculture.
Da qui già si gode di una vista strepitosa e non solo, si vede la Versilia, il mare e le isole e purtroppo in primo piano la montagna mutilata.
Con Ada e Sonia abbiamo modo di riflettere e parlare a lungo del delicato tema della “coltivazione del marmo” nelle Apuane, ma mi dilungherei troppo, voglio solo riportare una frase che ho nel cuore di Alberto Grossi, che osservando una pianta cresciuta in una parete di cava non capiva se assomigliasse di più ad un bimbo avvinghiato alla propria madre, o ad un peccatore che stesse scontando chissà quale orribile colpa.
In cava la natura sorprende ancora di più con la sua delicata ed inesorabile forza, che non si arrende e piano piano si riappropria del suo ambiente deturpato e lacerato.
Così mentre osservo quei fiori mi scuote un sentimento simile a quello che provò il grande maestro G. Leopardi quando osservò “la Ginestra” fiorita sulle pendici dello “Sterminator Vesevo”
Qui mira e qui ti specchia,
Secol superbo e sciocco,
Che il calle insino allora
Dal risorto pensier segnato innanti
Abbandonasti, e volti addietro i passi,
Del ritornar ti vanti,
E proceder il chiami.
Con le scarpe pesanti e sporche di una melma terribile, chiamata “marmettola”, lasciamo la cava e proseguiamo il nostro cammino con la mente piena di pensieri.
La salita verso la vetta è semplicemente un tripudio di colori autunnali dal giallo al rosso, le faggete affiancano il bianco del marmo e si innalzano verso un cielo che più azzurro non può essere: nemmeno una nuvola!
Finalmente o meglio direi purtroppo siamo già in vetta, così zaino alla mano ci godiamo un generoso pasto, in maniera confusa tra una risata e l’altra cerchiamo di raggrupparci per una foto ricordo, intanto la nebbia ci ricorda che in montagna dopo il mezzogiorno il tempo può cambiare facilmente così è meglio non dilungarsi e torniamo verso valle con calma, godendoci la discesa per sciogliere i muscoli.
Il percorso ad anello ci riporta presto verso l’autobus, dove è inevitabile riguardare subito le foto, prolungando il piacere delle bellezze godute e dove è inevitabile lasciar andare la testa dormendo il “riposo del giusto”
Un caloroso ringraziamento alle nostre direttrici di gita, agli accompagnatori apui e a tutti i partecipanti, alla prossima!
– Chiara Odette di Mauro